Chiarimenti dalle Entrate sulla restituzione dell’IVA non dovuta

Arrivano chiarimenti dall’Agenzia delle entrate italiana riguardo alla restituzione dell’IVA non dovuta, ai sensi dell’articolo 30-ter del Decreto IVA (Agenzia delle entrate, risoluzione 3 ottobre 2025. n. 50).

La risoluzione fornisce chiarimenti richiesti in merito all’applicazione dell’articolo 30-ter, in particolare riguardo al caso di applicazione di un’IVA non dovuta a una cessione di beni o a una prestazione di servizi che sia stata accertata in via definitiva dagli uffici dell’Agenzia delle entrate.

L’articolo 30-ter del decreto IVA, introdotto dall’articolo 8 della Legge n. 167/2017″), definisce l’attuale sistema per il recupero dell’IVA indebitamente versata.
Il comma 1 consente al soggetto passivo di presentare la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni. Tale termine decorre dalla data del versamento dell’imposta o, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Il comma 2 disciplina il caso in cui l’applicazione di un’imposta non dovuta sia stata accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria. In questa ipotesi, il cedente o prestatore (il soggetto che ha emesso la fattura) può presentare la domanda di restituzione entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.
Tale disciplina del rimborso, in linea con il principio della neutralità dell’imposta, garantisce al cedente/prestatore la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta originariamente versata all’erario.

 

La suddetta possibilità è espressamente subordinata a due condizioni:

  • l’avvenuta restituzione al cessionario/committente dell’imposta indebitamente addebitata in fattura;
  • il cessionario/committente deve aver precedentemente restituito tale imposta all’erario a seguito di un accertamento definitivo.

Le norme relative al rimborso devono essere lette congiuntamente al comma 3 dell’articolo 30-ter, il quale prevede che la restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

Così, spiega l’Agenzia, se a seguito dell’attività di controllo da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate il rapporto contrattuale tra le parti venga riqualificato e conseguentemente escluso il diritto alla detrazione dell’IVA collegata alle prestazioni afferenti al contratto asseritamente ritenuto di appalto per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini IVA, non potrà darsi luogo ad alcuna restituzione dell’imposta.

Credito d’imposta per corsi di formazione agricola: percentuale di fruizione al 100%

L’Agenzia delle entrate stabilisce la percentuale di credito d’imposta fruibile per le spese sostenute per la partecipazione a corsi di formazione relativi alla gestione dell’azienda agricola (Agenzia delle entrate, provvedimento 3 ottobre 2025, n. 364506 ).

L’articolo 6, comma 1, della Legge 15 marzo 2024, n. 36, ha previsto un contributo sotto forma di credito d’imposta, per la partecipazione a corsi di formazione attinenti alla gestione dell’azienda agricola. Originariamente, tale credito era stabilito in misura pari all’80% delle spese effettivamente sostenute nell’anno 2024, fino a un massimo di 2.500 euro per beneficiario.
L’articolo 4, comma 4, del decreto attuativo del Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 1° aprile 2025, ha poi previsto che la percentuale di fruizione fosse pari al 100% nel caso in cui l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti fosse risultata inferiore al limite di spesa.
L’analisi delle richieste ha mostrato che l’ammontare complessivo dei crediti d’imposta risultanti dalle comunicazioni presentate tra il 25 agosto 2025 e il 24 settembre 2025 è stato pari a 34.643 euro. Poiché tale importo è risultato significativamente inferiore al limite complessivo di spesa di 2 milioni di euro, la percentuale del credito d’imposta effettivamente fruibile è stata stabilita al 100% dell’importo richiesto.

 

L’ammontare massimo fruibile da ciascun beneficiario è calcolato moltiplicando il credito risultante dall’ultima comunicazione validamente presentata, secondo le modalità definite con il provvedimento n. 305754/2025, per la suddetta percentuale del 100%, troncando il risultato all’unità di euro.

 

Ciascun beneficiario può visualizzare l’importo del credito d’imposta così determinato tramite il proprio cassetto fiscale, accessibile dall’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.

 

Il credito d’imposta deve essere utilizzato dai beneficiari esclusivamente in compensazione.

 

Tale credito è utilizzabile dal terzo giorno lavorativo successivo alla pubblicazione del provvedimento, dopo il rilascio di una seconda ricevuta che ne comunica il riconoscimento, ma comunque non prima della data di conclusione del corso di formazione.

Bonus edilizi e successione: le regole per il trasferimento delle rate residue agli eredi

L’Agenzia delle entrate ha pubblicato chiarimenti sul caso di trasferimento mortis causa di un immobile, su cui sono stati effettuati interventi di recupero del patrimonio edilizio, a un erede che ne acquisisce la detenzione materiale e diretta solo in un momento successivo a quello di apertura della successione (Agenzia delle entrate, principio di diritto 2 ottobre 2025, n. 7).

L’articolo 16-bis del TUIR prevede una detrazione IRPEF, attualmente del 36% (elevata al 50% in certi casi), per le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio, ripartita in 10 rate annuali di pari importo.
Il comma 8 dello stesso articolo disciplina il trasferimento della detrazione in caso di cambio di titolarità dell’immobile. In particolare, per il caso di decesso, stabilisce che “la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene”.

 

La questione riguarda il momento in cui l’erede deve avere la detenzione materiale e diretta dell’immobile per poter beneficiare delle rate residue della detrazione.
La norma non prescrive che la detenzione debba sussistere necessariamente nell’anno di apertura della successione come presupposto per il trasferimento all’erede del diritto alla detrazione delle rate residue. Anche la circolare n. 17/E/2023, pur richiedendo la detenzione per ogni anno in cui si fruisce della detrazione, non la indica come un presupposto essenziale nell’anno del decesso per il trasferimento stesso.
La condizione essenziale è che la detenzione materiale e diretta dell’immobile sussista per l’intera durata del periodo d’imposta di riferimento. Se l’immobile è locato o concesso in comodato, anche solo per una parte dell’anno, l’erede non può fruire della quota di detrazione di quell’annualità.

 

Se al momento dell’apertura della successione nessun erede detiene l’immobile (ad esempio, perché è locato), la quota di detrazione per l’anno del decesso non può essere utilizzata. Tuttavia, se negli anni successivi un erede acquisisce la detenzione materiale e diretta (ad esempio, alla scadenza del contratto di locazione), potrà beneficiare delle eventuali rate residue di competenza.

 

Per poter usufruire delle rate residue, l’erede deve mantenere la detenzione materiale e diretta dell’immobile ininterrottamente dal 1° gennaio al 31 dicembre del periodo d’imposta. Se la detenzione viene acquisita in corso d’anno, il diritto alla detrazione per le quote residue sorgerà solo per i periodi d’imposta successivi.

Il diritto alla detrazione spetta solo all’erede (o agli eredi) che mantiene la detenzione materiale e diretta del bene per l’intero anno. Se il numero di eredi che soddisfano questa condizione varia da un anno all’altro, il diritto alla detrazione deve essere ripartito di conseguenza tra di loro in ciascun anno.

 

Tali considerazioni trovano applicazione anche con riferimento:
• al Bonus verde per la sistemazione a verde di aree scoperte private;
• all’Ecobonus per interventi di riqualificazione energetica degli edifici, data la presenza di una disposizione analoga a quella del TUIR;
• al Superbonus per interventi di efficienza energetica, antisismici e altri interventi specifici.

Premi, forfetario e IRAP: l’Agenzia delle entrate fa chiarezza per i lavoratori sportivi

Sono pervenuti quesiti all’Agenzia delle entrate sull’applicazione di alcune disposizioni del D.Lgs. n. 36/2021 recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo (Agenzia delle entrate, risposta 30 settembre 2025, n. 14).

In particolare, l’ente pubblico istante ha posto quesiti sui seguenti argomenti:

  • ritenuta sui compensi da lavoro autonomo, chiedendo se, per i compensi corrisposti a un lavoratore sportivo dell’area del dilettantismo con contratto di lavoro autonomo, la ritenuta di cui all’articolo 25 del D.P.R. n. 600/1973 debba essere applicata solo agli importi che eccedono la somma di 15.000 euro;
  • soglia di non imponibilità e regime forfetario, chiedendo come si applica la soglia di non imponibilità di 15.000 euro per i lavoratori sportivi che conseguono redditi di lavoro autonomo abituale e occasionale, e per coloro che accedono al cosiddetto regime forfetario;
  • accesso al regime forfetario per il 2024, chiedendo come debbano essere valutate le cause ostative di accesso al regime forfetario per un lavoratore sportivo autonomo che intende applicare tale regime a partire dal periodo d’imposta 2024;
  • disciplina dei premi, chiedendo chiarimenti su quattro punti specifici:
        ◦ se i “premi di risultato” previsti nei contratti di lavoro sportivo debbano essere assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta;
        ◦ qual è la rilevanza reddituale dei premi corrisposti direttamente alla “società sportiva” di appartenenza del lavoratore;
        ◦ qual è il regime di tassazione dei premi erogati dalle Federazioni sportive ai lavoratori sportivi dell’area del professionismo quando vengono convocati nelle rappresentative nazionali;
        ◦ Se le ritenute operate sui premi debbano essere certificate dall’ente erogatore (con la Certificazione Unica) o se debbano essere esclusivamente riportate nel modello 770;
  • disciplina ai fini IRAP, riguardo alla non rilevanza ai fini IRAP dei singoli compensi per collaboratori coordinati e continuativi nell’area del dilettantismo, se inferiori all’importo annuo di 85.000 euro.

In risposta, l’Agenzia delle entrate fornisce una dettagliata analisi del quadro normativo introdotto dal D.Lgs. n. 36/2021, entrato in vigore il 1° luglio 2023.
Viene stabilita una definizione precisa di lavoratore sportivo, identificandolo come l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico e altre figure tesserate che esercitano un’attività sportiva a fronte di un corrispettivo. La norma sottolinea che questa qualifica si applica indipendentemente dal settore in cui opera, sia esso professionistico o dilettantistico. Vengono però escluse da questa categoria le mansioni di carattere puramente amministrativo-gestionale e le prestazioni fornite da professionisti iscritti ad albi esterni all’ordinamento sportivo, come medici o avvocati.
Una volta definito l’ambito soggettivo, la riforma chiarisce che l’attività di lavoro sportivo può costituire l’oggetto di diverse tipologie di rapporto contrattuale. A seconda dei presupposti, può infatti configurarsi come un rapporto di lavoro subordinato, un rapporto di lavoro autonomo, oppure una collaborazione coordinata e continuativa.
Nei settori professionistici, la legge presume che il lavoro prestato da un atleta come attività principale e continuativa sia oggetto di un contratto di lavoro subordinato. Nell’area del dilettantismo, invece, si presume che il rapporto sia una collaborazione coordinata e continuativa a due condizioni: che la durata delle prestazioni non superi le 24 ore settimanali (escluso il tempo per le manifestazioni) e che le prestazioni siano coordinate tecnicamente secondo i regolamenti delle federazioni o degli enti di promozione sportiva.
Questo nuovo inquadramento contrattuale ha un impatto diretto sulla qualificazione fiscale dei redditi. La modifica più significativa è l’abrogazione della norma che inquadrava i compensi sportivi dilettantistici tra i “redditi diversi”. Di conseguenza, i redditi derivanti dal lavoro sportivo vengono ora tassati secondo la categoria corrispondente al rapporto di lavoro specifico: redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, o redditi di lavoro autonomo.
Inoltre viene chiarito che, anche per il periodo d’imposta 2023, i redditi da lavoro autonomo sportivo sono da considerarsi a tutti gli effetti redditi professionali, il cui imponibile va determinato secondo le regole ordinarie previste dall’articolo 54 del TUIR.

 

Risposte ai singoli quesiti
Risposta al quesito 1: la ritenuta d’acconto del 20% (art. 25, D.P.R. n. 600/1973) si applica solo sulla parte dei compensi che eccede la soglia di 15.000 euro annui. Per beneficiare di questa esenzione, il lavoratore sportivo deve rilasciare al committente, all’atto di ogni pagamento, un’autocertificazione che attesti l’ammontare totale dei compensi percepiti nell’anno solare per prestazioni sportive dilettantistiche. Il sostituto d’imposta (es. l’ASD) applicherà la ritenuta solo se, sulla base dell’autocertificazione, il nuovo compenso comporta il superamento della soglia complessiva di 15.000 euro.
Risposta a quesito 2: per i lavoratori sportivi autonomi nell’area del dilettantismo, la base imponibile è costituita solo dai compensi che eccedono i 15.000 euro. Per coloro che applicano il regime forfetario il coefficiente di redditività si applica solo sull’importo dei compensi che eccede i 15.000 euro. Tuttavia, ai fini della verifica del limite massimo di ricavi/compensi per l’accesso e la permanenza nel regime (attualmente 85.000 euro), si deve considerare l’intero ammontare dei compensi percepiti, inclusa la quota esente di 15.000 euro.
Risposta a quesito 3: ai fini della verifica delle cause ostative per l’accesso al regime forfetario nel 2024, rilevano unicamente i rapporti di lavoro sportivo, come definiti dal d.lgs. n. 36/2021, attivati nel 2023. Non sono rilevanti, invece, i compensi percepiti prima del 1° luglio 2023, che erano qualificati come “redditi diversi”, anche se erogati dallo stesso soggetto con cui si instaura un nuovo rapporto nel 2024.
Risposta a quesito 4: le somme qualificate come “premi di risultato” nei contratti di lavoro sportivo non rientrano nella disciplina dell’art. 36, comma 6-quater. Essi costituiscono una parte variabile della retribuzione e sono tassati secondo le regole ordinarie della categoria reddituale di appartenenza (lavoro dipendente o autonomo).
I premi corrisposti direttamente all’ente sportivo di appartenenza, e non al singolo atleta o tecnico, sono esclusi dall’ambito di applicazione della norma.
La disciplina dei premi con ritenuta a titolo d’imposta del 20% si applica anche alle somme corrisposte dalle Federazioni ad atleti e tecnici che operano nel professionismo quando vengono convocati per le squadre nazionali. Questo perché l’attività svolta in tale contesto è considerata rientrante nell’area del dilettantismo.
Le somme soggette a ritenuta a titolo d’imposta non sono soggette all’obbligo di Certificazione Unica (CU). Devono però essere indicate nel modello dichiarativo 770 del sostituto d’imposta.
Risposta a quesito 5: l’articolo 36, comma 6, del D.Lgs. n. 36/2021 prevede che i singoli compensi per co.co.co. nell’area del dilettantismo inferiori all’importo annuo di 85.000 euro non concorrono alla base imponibile IRAP. Non si tratta di una franchigia, pertanto: se un singolo compenso è inferiore a 85.000 euro, è totalmente escluso dalla base imponibile IRAP dell’ente erogante; se un singolo compenso è pari o superiore a 85.000 euro, esso concorre per intero alla determinazione della base imponibile IRAP.

Crediti d’imposta da DTA: chiarimenti su cessione e compensazione

L’Agenzia delle entrate risponde ad alcuni dubbi avanzati da una società circa la possibilità di assolvere le proprie obbligazioni di versamento mediante compensazione con crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione delle cosiddette “DTA” (Deferred Tax Assets), ai sensi dell’articolo 44-bis del D.L. n. 34/2019 (Agenzia delle entrate, risposta 26 settembre 2025, n. 253).

In particolare, l’Istante pone diversi quesiti:
– se i crediti possano essere acquistati dalla Società, anche se non riveste la natura di intermediario finanziario;
– se siano acquistabili e cedibili anche in modo frazionato;
– se possano essere ceduti più volte;
– se siano compensabili nel Modello F24;
– se esistano tempistiche per la compensazione e se questa sia soggetta ai limiti dell’articolo 34 della Legge n. 388/2000;

– se le compensazioni siano soggette all’apposizione del visto di conformità;
– se eventuali eccedenze di credito dopo la compensazione siano a loro volta cedibili.

L’Agenzia delle entrate ricorda che l’articolo 44-bis del D.L. n. 34/2019 disciplina la trasformazione in crediti d’imposta delle “attività per imposte anticipate” (DTA) relative a perdite fiscali ed eccedenze ACE, a seguito della cessione di crediti pecuniari verso debitori inadempienti (con mancato pagamento protratto per oltre novanta giorni).

La trasformazione avviene alla data di efficacia giuridica della cessione dei crediti.

 

Il comma 2 dello stesso articolo 44-bis prevede che i crediti d’imposta così generati possano essere utilizzati secondo tre modalità:

  • in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997;
  • mediante cessione, ai sensi dell’articolo 43-bis o 43-ter del D.P.R. n. 602/1973,
  • mediante richiesta di rimborso.

L’Agenzia si concentra sulla possibilità per l’Istante di acquistare crediti da soggetti terzi. L’articolo 44-bis contempla due ipotesi di cessione: quella infragruppo (art. 43-ter) e quella verso terzi (art. 43-bis).

 

La norma dell’articolo 43-bis del D.P.R. n. 602/1973 disciplina espressamente le cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi. Questa stessa norma prevede un “espresso divieto di ulteriore cessione“, stabilendo che “Il cessionario non può cedere il credito oggetto della cessione”. Di conseguenza, chi acquista un credito secondo questa modalità (il “cessionario”) potrà solo monetizzarlo tramite l’incasso delle somme oggetto di rimborso, senza avere la possibilità di utilizzarlo in compensazione né di cederlo ulteriormente.

 

Sulla base di queste premesse, riguardo al caso di specie, l’Agenzia delle entrate concorda con l’Istante sull’assenza nella norma di qualsiasi limitazione soggettiva alla possibilità di cessione a soggetti terzi. Inoltre, tutti gli altri quesiti posti dall’Istante si ritengono “assorbiti” in quanto l’acquisto di un credito chiesto a rimborso esclude non solo la possibilità di ulteriore cessione ma anche quella di utilizzo in compensazione dello stesso.